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Massone G. B.

La pena dei lavori forzati considerata nella sua applicazione pratica ossia i bagni marittimi negli Stati sardi studiati sotto l’aspetto economico-statistico-igienico-morale ed al confronto della riforma penitenziaria

Genova, Ferrando, 1851

In 8, pp. XXIII + 486 con tavv. sinottiche n.t., 2 grandi tavv. sinottiche f.t. più volte rip. e 1 tav. in lit. acquerellata a mano all’antip. Nota manoscritta coeva a p. VII. D. rifatto. Qualche alone ai p. Br. ed. Saggio relativo alle abitudini di vita dei condannati ai lavori forzati presso i bagni marittimi negli Stati Sardi. In particolare, l’A. cita l’impiego dei condannati al porto di Genova nei lavori alla darsena e all’arsenale. Oltre a coloro incaricati dello spurgo del porto, ci sono magazzinieri, imbianchini, fabbri, ferrai, falegnami, cordai, maestri d’ascia, stagnai, calderai, bottai. Ad essi il Governo forniva il vitto giornaliero che consisteva in una razione di “trentadue oncie di pane, più quattr’oncie di fave per la minestra […]. Una giubba rossa di molettone, una berretta rossa in lana, e pantaloni di tela, una camicia e scarpe, componevano il loro vestiario”. Non tutti i condannati erano incatenati a due a due; alcuni erano liberi, altri portavano al piede una grossa palla di cannone. Successivamente, nel 1848, vennero apportate modifiche al regolamento che disciplinava i lavori forzati nei bagni degli Stati sardi: in particolare i condannati venivano suddivisi in categorie a seconda della durata della pena e dal tipo di reato commesso. L’A. si sofferma poi sulla pena della “berlina”, che consisteva nel far passare il prigioniero in mezzo alle vie della città mentre veniva sottoposto al pubblico insulto e ludibrio. Massone si scaglia contro questa sanzione ritenendola inutile e dannosa perché non faceva che accrescere l’astio del detenuto nei confronti della società. Si stabilì inoltre, nei nuovi regolamenti, una paga giornaliera per i prigionieri, liberi di utilizzare il compenso come preferivano, purché lo usassero sempre per migliorare il vitto giornaliero. Alcuni lavoratori speciali, detti “di grazia”, erano totalmente liberi dai ferri e potevano uscire in città senza scorta. Praticamente anche qui si denota la divisione in addetti alla “grande fatigue” (non pagati e addetti ai lavori peggiori) e alla “petite fatigue” (retribuiti e addetti a lavori specializzati) da tempo in atto nei bagni francesi. Secondo Massone, la vita ai lavori forzati presso i bagni era preferibile rispetto a quella nel carcere a causa della vista del mare, dell’aria libera, del sole, e della possibilità di stringere amicizia con i compagni. La prigione, invece, “uccide il corpo, altera l’intelligenza e pone l’animo in uno stato di tale letargo, che neutralizza la facoltà di agire a seconda del proprio intimo volere”. In realtà i bagni penali furono quanto rimase nel momento in cui le galere vennero a perdere la loro funzione bellica e cominciarono a marcire nei porti. Scomparivano le galere ma rimanevano i galeotti. La pena della galera rimase sempre presente negli ordinamenti e i galeotti vennero quindi destinati ai molti lavori necessari alla gestione di una flotta militare e dei suoi porti. Gran parte della massa dei prigionieri era composta da frotte di poveracci, più che da criminali veri e propri, da vagabondi, pitocchi, eretici e contrabbandieri i quali, molte volte senza subire alcun processo, venivano d’ufficio inviati al bagno penale.

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