In 8, pp. 37 + (1b). Br. ed. L’A. sostiene che dopo la battaglia vinta contro la pellagra, ve ne sia un’altra da affrontare, quella contro la piaga dell’alcolismo. La pellagra è stata vinta anche perché c’è stato il consenso da parte dei malati, dei proprietari terrieri, degli enti locali e dello Stato. Diverso, invece, il fenomeno dell’alcolismo più difficile da debellare in quanto "manca in primo luogo alla nuova cura il consenso del malato, di quei malati che non leggono nei giornali o nei libri le statistiche eloquenti dei danni che derivano dall’alcolismo, e rifuggono dalle conferenze, per non sentire ivi la condanna della loro vita disordinata e per non vedere nelle proiezioni una immagine che può essere la loro fotografia e lo spettacolo di visceri umani avvizziti o tumefatti, nella funerea visione di un’agonia che sarà forse la loro fine". Burato auspica un intervento dello Stato come è accaduto, ad esempio, in Svizzera dove "le persone dedite alle bevande spiritose in modo da non potersi più occupare dei loro interessi, o che diventano un pericolo per la sicurezza pubblica, vengono con ordinanza dell’autorità ritirate in una casa di alienati". L’A. sembra rimpiangere, anche se poi si premunisce di affermare che "oggi le pene corporali sono abolite", la soluzione adottata in epoca medioevale quando le pattuglie di polizia, che si imbattevano in un ubriaco, lo portavano nel fossato di cinta della città, lo mettevano in una grande gabbia di ferro, e gli "infliggevano certe abluzioni salutari per lui e pei cittadini che all’intorno assistevano giocondamente al comico spettacolo". Il divieto della distribuzione di liquori nei pubblici esercizi dovrebbe estendersi quindi alla totalità dei cittadini, subordinando la fornitura delle bevande alcoliche alla presentazione della ricetta medica o di una prova dell’impiego industriale.
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