In 8, pp. XII + 124. Mancanza al p. ant. Taglietto al marg. est. delle prime 5 cc. Taglietti all’ultima c. bianca. P. post. e d. rifatti con carta d’epoca. P. ant. in br. ed. Studio sul suicidio in cui il discorso si intreccia con un’impostazione moralistica in base alla quale il suicidio è da considerarsi a tutti gli effetti un delitto verso la società e verso Dio. Scrive infatti l’A. che l’atto è "gravemente peccaminoso". Anche se l’uomo in vita soffre molti patimenti, tanto da voler porre fine alla vita stessa, ci sono "molte e buone ragioni di rimanere nella vita finché la Provvidenza vi ci lascia; e ciò non per la sola paura dell’inferno, ma perché intendiamo che ciò a noi è utilissimo". L’A. (Napoli, 1809, Firenze, 1891) gesuita e teologo, uscì poi dalla Compagnia di Gesù non abbandonando tuttavia il ministero sacerdotale. Ciò gli permise la pubblicazione, in tempi successivi, di numerose opere in cui si auspicava un’ampia conciliazione con il pensiero liberale e il mondo moderno.
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