In 8, pp. 29 + (1b) con 1 tav. all’antip. inc. all’acq. Br. muta coeva. Elogio di Giovanni Battista Scanarolo, avvocato dei poveri a Roma, e delegato della Congregazione per le visite alle prigioni, autore del trattato che con più competenza mise a fuoco la problematica giuridica e assistenziale delle carceri romane, De visitatione carceratorum libri tres (Roma, 1660). Raggi si sofferma sul capitolo che Scanarolo dedicava alla tortura, in particolare al tormento della veglia, che conduceva spesso alla morte. Per delitti atrocissimi "la pena dei quali portava o di essere bruciati vivi, o tagliati a brani, od arrotati, o trascinati a coda di cavallo, che erano i delitti di lesa maestà divina od umana, di parricidio, di assassinio o di omicidio proditorio od altri […]. Cosicché, rispetto alle pene che per tali delitti dovevano poi soffrire i rei, poca cosa era il tormento della veglia". Raggi si rallegra quindi del fatto che queste torture siano state definitivamente cancellate, "e mal si abbia persino chi a’ dì nostri osa mettercele innanzi agli occhi, o sulle scene, o in mostruosi romanzi, o su dipinte tele: ché ogni memoria di quelle atrocità vuole anzi essere dispersa per sempre da noi".
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