In 16, pp. 58 + (4b). Qualche alone al p. ant. Br. ed. Saggio in cui l’A. afferma la necessità di un riordino della legislazione della pubblica beneficenza, non essendo la legge del 3 agosto 1862 più in grado di reggere e governare l’amministrazione delle Opere Pie: "il principio della più ampia autonomia delle singole amministrazioni […] ha fatto sì che il dovizioso retaggio, lasciatoci per alleviare le miserie delle classi povere della popolazione, andasse ripartito e sminuzzato fra un numero eccessivo di piccole instituzioni pie. Per la qual cosa si moltiplicarono all’infinito le spese amministrative, tanto che in tutte le regioni d’Italia esse assorbono, dove più e dove poco meno del terzo del reddito del patrimonio dei poveri, con manifesto e gravissimo danno di questi". L’A. sostiene quindi che gli scopi di una beneficenza razionale si possono conseguire solo tramite la fondazione di grandi istituti attraverso i quali è possibile giungere ad una semplificazione e razionalizzazione dell’amministrazione e della distribuzione delle risorse".
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